La Città Invisibile - La Seconda Guerra Mondiale, in Italia
La Seconda Guerra Mondiale - In Italia, 1940-1943

1940-1943

L’Italia, fino a quel momento non belligerante, entra in guerra il 10 giugno 1940 al fianco della Germania nazista contro Inghilterra e Francia, invadendo quest’ultima già prostrata dall’attacco tedesco (la cosiddetta "pugnalata alle spalle"). La Francia si arrende dopo due sole settimane, firmando un armistizio con l’Italia.
In settembre le truppe italiane entrano in Egitto, dalla loro colonia libica, e attaccano le truppe inglesi. Il 28 ottobre l’esercito italiano attacca anche la Grecia. A novembre gli italiani vengono re-spinti su entrambi i fronti.
Nel gennaio-febbraio 1941 gli inglesi attaccano con successo le colonie italiane dell’Africa Orientale (le attuali Eritrea, Etiopia e Somalia), che si arrenderanno definitivamente il successivo 27 novembre. Contemporaneamente, a inizio anno, gli inglesi attaccano pure la colonia italiana della Libia, ma su questo secondo fronte, anche grazie all’arrivo dell’Afrika Korps tedesco comandato dal generale Rommel, c’è la controffensiva delle potenze dell’Asse. Nel successivo aprile, sempre in seguito all’intervento tedesco, anche Grecia e Jugoslavia si arrendono.
Accodandosi alle scelte dei suoi alleati, il 9 luglio partono i primi soldati italiani verso il fronte russo (dopo l’invasione tedesca del 22 giugno) e l’11 dicembre l’Italia dichiara guerra agli Stati Uniti entrati nel conflitto (in seguito all’attacco giapponese a Pearl Harbour).
Sul fronte nordafricano, nel maggio-giugno 1942 le forze dell’Asse attaccano gli inglesi, spingendosi fin quasi ad Alessandria d’Egitto, ma il 23 ottobre inizia la controffensiva britannica, guidata dal generale Montgomery, che il 4 novembre porta allo sfondamento delle linee italo-tedesche a El Alamein e alla rotta dei loro eserciti.
Nel dicembre 1942 anche l’Armir, il corpo di spedizione italiano in Russia, è travolto dall’offensiva dell’Armata Rossa e dunque costretto a ritirarsi. Su 230 mila soldati impegnati sul fronte russo, i caduti saranno 84mila e i congelati 30mila.
Il 5 marzo 1943 una grande ondata di scioperi nelle fabbriche del nord è un primo, ma significativo, sintomo del malcontento contro il regime fascista e la guerra.
Il 10 luglio gli Alleati sbarcano in Sicilia e il 19 attaccano Roma con un pesante bombardamento aereo. Sei giorni dopo, il 25 luglio 1943, crolla il regime fascista: Mussolini, sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo, è costretto alle dimissioni, arrestato e sostituito dal maresciallo Pietro Badoglio, che il 27 decreta ufficialmente lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista.

All’indomani della caduta di Mussolini, vi sono manifestazioni di giubilo in tutta Italia, ma Badoglio annuncia che "la guerra continua" e il nuovo governo reprime nel sangue molte manifestazioni, lasciando in vigore le leggi razziali contro gli ebrei (introdotte nel 1938 per compiacere i nazisti).
Gli Alleati intanto intensificano i bombardamenti aerei, soprattutto su Milano, e il 17 agosto occupano l’intera Sicilia. Dopo una prima richiesta di resa incondizionata, proseguono i contatti per giungere all’armistizio tra Italia e Alleati. Nel frattempo i tedeschi fanno affluire numerose divisioni lungo tutta la penisola.
Il 3 settembre, a Cassibile, in Sicilia, l’Italia firma segretamente l’armistizio e la resa senza condizioni con gli Alleati, rimandando l’annuncio ufficiale che, per i tentennamenti di Badoglio e del re Vittorio Emanuele III, viene anticipato dagli Alleati, l’8 settembre 1943, per voce del presidente americano Eisenhower diffusa da Radio Algeri. Poco dopo, alle 19.45, anche la radio italiana comunica ufficialmente la notizia. Il paese precipita nel caos.
Il giorno seguente, prima dell’alba, il re, il principe ereditario, le autorità militari e di governo lasciano Roma e, dalle coste abruzzesi, si imbarcano per Brindisi. Nel frattempo gli Alleati sbarcano a Salerno (e non nei dintorni di Roma, come era originariamente previsto, a causa del mancato accordo con le autorità italiane), mentre i tedeschi mettono in opera il piano, predisposto da tempo, di occupazione militare dell’Italia.
Di lì a poco 600mila militari italiani vengono disarmati e internati in Germania. Non mancano coloro che rifiutano di cedere le armi, come la divisione Acqui, di guarnigione nell’isola greca di Cefalonia, quasi interamente massacrata: su 12mila uomini, 1.300 cadono in combattimento, più di 6mila vengono uccisi dopo aver deposto le armi, circa 3mila muoiono nelle stive delle navi affondate durante il trasferimento al Pireo, gli altri vengono trasferiti nei lager tedeschi (specie in quello di Zeithan).
Il 12 settembre i tedeschi liberano Mussolini dalla sua prigione sul Gran Sasso e lo portano in Germania, da dove, il 18 settembre, con un proclama radiofonico, preannuncia l’istituzione di una repubblica fascista nell’Italia controllata militarmente dai tedeschi. Nel frattempo si ricostituisce il partito, con il nome di Partito Fascista Repubblicano.
Il 23 settembre 1943 nasce al nord, per volontà tedesca, la Repubblica Sociale Italiana, sostenuta dalle frange estreme del fascismo, con sede del governo a Salò, sul Lago di Garda. Iniziano le deportazioni di ebrei italiani verso i campi di sterminio dell’Europa orientale, nell’organizzazione delle quali i repubblichini svolgeranno un ruolo fondamentale. Nell’Italia occupata dagli angloamericani il re e Badoglio guidano intanto il cosiddetto "Regno del Sud", con capitale prima a Brindisi poi a Salerno. L’Italia è divisa in due.

Di lì a poco, la guerra dei due anni successivi assumerà più significati, talvolta convergenti, per gli italiani che ne verranno coinvolti:
diviene una guerra patriottica, di liberazione nazionale, riunendo le varie anime del movimento resistenziale (il militante comunista, l’antifascista di formazione liberaldemocratica o l’ufficiale di fede monarchica) attorno alla lotta contro i tedeschi (sovrapponendo le varie accezioni di nazisti spietati, di stranieri sfruttatori o di nemici tradizionali dai tempi del Risorgimento);
diviene una guerra di classe, quando la guerra si intreccia allo scontro sociale contro il nemico di classe, ma solo nei casi in cui i due fronti sono nettamente separati (mentre più spesso la realtà è molto più articolata, con posizioni padronali che spaziano dall’aperto collaborazionismo con gli occupanti fino all’impegno sincero e talvolta diretto nella Resistenza, e posizioni operaie che talora coincidono con la guerra patriottica e talora se ne dissociano, in un quadro dunque non riconducibile a schematizzazioni);
diviene guerra civile, ovvero contrapposizione armata tra due forze dello stesso paese, entrambe organizzate e numericamente significative, l’una inserita nel contesto di una più ampia guerra civile europea condotta dagli Alleati contro le forze fasciste, l’altra collegata allo specifico contesto italiano e ai riferimenti del fascismo d’assalto nel 1919-1922 e della contemporanea Repubblica sociale.

L’11 ottobre 1943, a nome del legittimo governo italiano, il maresciallo Badoglio preannuncia lo stato di guerra con la Germania nazista, a partire dal 13 ottobre. Nel frattempo si susseguono rivolte ed eccidi.
Il 10 settembre, con la nascita del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), prende il via la lotta partigiana nel centro-nord. Anche al sud, il 27 settembre, inizia l’insurrezione spontanea di Napoli, le "quattro giornate" che portano all’abbandono della città da parte delle truppe naziste, prima ancora dell’arrivo degli Alleati.
Una rappresaglia tedesca, a Boves, in provincia di Cuneo, il 19 settembre causa l’incendio del paese e la morte di 24 civili. Il 13 ottobre, a Caiazzo, in provincia di Caserta, i tedeschi trucidano 22 civili italiani (tra cui 10 bambini e 7 donne). Il 28 dicembre, a Campegine, in provincia di Reggio Emilia, i nazisti fucilano i sette fratelli Cervi, organizzatori della Resistenza nella zona.
Il 16 ottobre viene rastrellato il ghetto di Roma, con la deportazione ad Auschwitz di oltre mille ebrei, mentre nello stesso periodo, a Trieste, nel rione di San Sabba, in una vecchia fabbrica per la lavorazione del riso, viene allestito l’unico campo di sterminio italiano.
Il 14-16 novembre si svolge a Verona un congresso per discutere la Costituzione (non più monarchica) della Repubblica Sociale Italiana. Nella "carta di Verona", manifesto programmatico della RSI, viene riportato che "gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri e appartengono a nazionalità nemica". In quegli stessi giorni, il 15, a Ferrara, in seguito all’uccisione del segretario del Fascio Repubblicano, Ghisellini, si scatena la violenza squadrista contro ebrei, antifascisti e comuni cittadini: al termine le vittime sono 11. Il successivo 30 novembre la RSI ordina l’arresto di tutti gli ebrei, il loro internamento in campi provinciali e poi nazionali, il sequestro di tutti i loro beni.
Intanto, il 9 novembre un primo bando di chiamata alle armi della Repubblica di Salò va largamente disatteso (proclamando il successivo 18 febbraio la pena di morte per tutti i renitenti alla leva) e il 24 dicembre viene istituito il servizio di lavoro obbligatorio per tutti gli uomini dai 16 ai 60 anni, mentre al sud, nel Regno d’Italia, viene approvato un primo disegno di legge sulla defascistizzazione della pubblica amministrazione.
L’8 gennaio 1944 inizia, ancora a Verona, il processo contro i gerarchi che, nell’ultima seduta del Gran Consiglio, avevano votato contro Mussolini. Due giorni dopo, il processo si conclude con la condanna a morte per fucilazione degli imputati (gli ex-gerarchi Ciano, De Bono, Gottardi, Marinelli, Pareschi).

 

La Seconda Guerra Mondiale - In Italia, 1944-1945

1944-1945

Dopo lo sbarco alleato del 22 gennaio 1944 ad Anzio e Nettuno, sulle coste laziali, a fine gennaio si riunisce a Bari il primo congresso del CLN: la mozione finale propone l’abdicazione di Vittorio Emanuele III (che il 5 giugno nomina luogotenente generale del Regno il principe ereditario, Umberto di Savoia) e il rinvio della scelta istituzionale a un referendum da tenersi a liberazione avvenuta.
Inoltre viene costituito il CLNAI (il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), a cui il comitato centrale di Roma affida la guida politica e militare della Resistenza nelle regioni settentrionali per coordinare la lotta delle varie formazioni. I partiti antifascisti organizzano quindi le formazioni partigiane: le brigate "Giustizia e Libertà", da parte del Partito d’Azione, le brigate "Matteotti", da parte del Partito Socialista, e le brigate "Garibaldi" (le più numerose e organizzate), da parte del Partito Comunista. Altre formazioni partigiane sono autonome o di orientamento cattolico.
Il successivo 27 marzo Palmiro Togliatti, segretario del partito antifascista più numericamente rilevante (quello comunista), rientrato in Italia dopo un lungo esilio in Urss, invita tutte le forze anti-fasciste alla conduzione unitaria della guerra contro i tedeschi e propone il rinvio della questione istituzionale al termine del conflitto. E’ la cosiddetta “svolta di Salerno”, approvata dal consiglio del partito e resa nota da "l’Unità".
Il 18 giugno si insedia un nuovo governo, espressione del CLN, presieduto da Ivanoe Bonomi, rimpiazzando quello retto dal maresciallo Badoglio. Il giorno seguente nasce il CVL (Corpo Volontari della Libertà), all’interno del CLNAI, per coordinare le operazioni di Resistenza, mentre già dal 18 aprile i reparti dell’esercito del sud affiancano gli Alleati come Corpo italiano di liberazione.
Anche gli operai partecipano alla lotta. Fin da febbraio i loro sabotaggi, assieme ai bombardamenti delle forze alleate, rallentano la produttività e ritardano le consegne di macchinari e armamenti alla Germania. Il 1° marzo una nuova ondata di scioperi nelle fabbriche, per iniziativa del CLN e dei partiti antifascisti, scuote il nord protraendosi fino all’8 marzo.
Il 23 marzo 1944, a Roma, un nucleo dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) attacca una colonna tedesca in via Rasella, provocando la morte di 32 soldati tedeschi. Per rappresaglia, all’indomani, gli uomini della Gestapo, al comando del colonnello Kappler, fucilano 335 persone nella cave sulla via Ardeatina.

Roma viene liberata dagli Alleati il 4 giugno. Durante la ritirata tedesca, in località La Storta, vengono fucilati 12 prigionieri del quartiere generale tedesco di via Tasso (tra questi Bruno Buozzi, il segretario generale della CGIL).
La liberazione di Roma è l’effetto dello sfondamento alleato a maggio, dopo quattro mesi di combattimenti, della Linea Gustav: una linea di fortificazioni che costeggia i fiumi Garigliano, Rapido e Sangro (da Minturno, sul Tirreno, fino alla costa adriatica, tra Ortona e Vasto), su cui si immola la città di Cassino, completamente devastata dai bombardamenti alleati.
Il 26 giugno gli Alleati bombardano anche la Repubblica di San Marino, territorio neutrale, credendo che i tedeschi l’abbiano occupata militarmente.
Il 12 maggio si accentua la dipendenza della RSI dall’alleato tedesco: le province di Trento, Bolzano, Belluno e il circondario di Tarvisio passano direttamente sotto l’amministrazione tedesca. Anche militarmente, il 1° luglio, all’interno della RSI nascono le "Brigate nere", una struttura repressiva cui si affiancano bande autonome svincolate da ogni potere legittimo. Impegnate entrambe nella lotta contro i partigiani, si macchiano assieme ai nazisti di gravi crimini ai danni delle popolazioni civili.
Il 17 giugno precedente il feldmaresciallo Kesserling, responsabile delle operazioni militari tedesche in Italia, aveva ordinato: "La lotta contro le bande deve essere condotta con tutti i mezzi a disposizione e con la massima asprezza."
Le rappresaglie dei nazisti, spesso affiancati dai fascisti, insanguinano l’Italia: il 6-11 aprile un rastrellamento alla Benedicta, in Liguria, provoca 147 vittime e 170 deportati; a fine giugno lasciano sul terreno 173 vittime civili a Civitella della Chiana e 71 a San Pancrazio di Bucine (entrambi in provincia di Arezzo), 82 tra partigiani e civili a Guardistallo (in provincia di Pisa); il 12 agosto, a Sant’Anna di Stazzema, in provincia di Lucca, i tedeschi massacrano 560 civili.
Le stragi toccano anche la Romagna: il 7 aprile, venerdì santo, a Fragheto di Casteldelci, in provincia di Pesaro, vengono trucidati 30 (in maggioranza donne, vecchi e bambini, 7 sotto i dieci anni) dei 75 abitanti; il 22 luglio a Tavolicci, in provincia di Forlì, le vittime assassinate sono 64 (20 uomini, 25 donne e 19 bambini in età inferiore ai 10 anni); sempre nella stessa provincia, al Passo del Carnaio, il 25 luglio truppe nazifasciste, al termine di una lunga giornata di rappresaglia contro la popolazione locale nella zona di San Piero in Bagno, uccidono 26 ostaggi.
Tra fine settembre e inizio ottobre 1944 avviene l’eccidio di Marzabotto, Montesole, Grizzano e Vado di Monzuno. Il 16° Panzergrenadier «Reichsfuhrer», comandato dal maggiore Walter Reder, su esplicito mandato del feldmaresciallo Kesserling, appoggiato dalle Brigate nere della RSI, conclude con l’ennesima strage la marcia di morte iniziata il 12 agosto in Versilia, poi in Lunigiana e ora nel Bolognese. Complessivamente le vittime sono 1.830 (in maggioranza donne, anziani, bambini, di cui 45 sotto i 2 anni di età). Il paese di Marzabotto, colpito il 29 settembre, viene interamente distrutto. Al termine della rappresaglia restano solo 3 sopravvissuti (due bambini e una maestra d’asilo che finge per 33 ore di essere stata anche lei abbattuta). Il territorio di Marzabotto viene poi disseminato di mine che, fino al 1966, uccideranno altre 55 persone.

Gli Alleati, nell’estate 1944, risalgono l’Italia: la 5a Armata Americana sul lato tirrenico (liberando il 3 luglio Siena, il 19 Livorno e il 3 agosto Pisa), la 8a Armata Britannica sul versante adriatico (arrivando ad Ancona il 4 agosto e a Jesi il 24).
Lo stesso 4 agosto, una settimana prima dell’arrivo delle avanguardie alleate, il CLN toscano impartisce l’ordine di insurrezione generale nella città di Firenze e ne assume il governo. La battaglia, che vede combattere insieme partigiani e Alleati, dura fino al 1° settembre.
Il 25 agosto gli Alleati iniziano l’offensiva contro la Linea Gotica, una seconda linea di fortificazioni tedesche, profonda una trentina di chilometri, che taglia l’Italia da Massa Carrara a Pesaro. Il successivo 21 settembre gli Alleati avanzano liberando Rimini, sulla costa adriatica, e Fiorenzuola, nella Toscana settentrionale, non lontano dal confine con l’Emilia, quindi, proseguendo la loro marcia attraverso l’Appennino, raggiungono il 1° ottobre il comune di Loiano, in provincia di Bologna.
Il 20 ottobre viene liberata Cesena, il 9 novembre Forlì, l’8 dicembre Ravenna. La guerra di Liberazione entra in una fase decisiva, anche per quanto riguarda il crescente contributo del movimento partigiano. Il 7 novembre, malgrado la rinuncia degli Alleati a proseguire la marcia verso Bologna, i partigiani ingaggiano proprio a Bologna un duro scontro militare con le forze nazifasciste: è la "battaglia di Porta Lame".
Il fronte italiano si è ormai attestato sulla Linea dell’Appennino. Il 13 novembre il generale Alexander, comandante delle forze alleate in Italia, nell’imminenza dell’inverno impartisce alle formazioni partigiane l’ordine di "cessare le operazioni organizzate su vasta scala". L’effetto di tale proclama sui partigiani è molto scoraggiante, ma il 2 dicembre il CVL dirama le "istruzioni per la campagna invernale", scongiurando lo smantellamento delle formazioni partigiane combattenti. I nazifascisti riprendono l’iniziativa. Finisce l’esperienza delle repubbliche partigiane sorte spontaneamente nelle valli alpine e appenniniche.
Solo nel febbraio 1945, il movimento partigiano nel nord Italia riprende l’iniziativa con vigore e le forze tedesche e fasciste iniziano a dare segni di cedimento e smobilitazione. Emissari delle SS trattano la capitolazione delle forze tedesche in Italia con agenti dei servizi segreti sovietici e americani.
Mussolini, già il 16 dicembre 1944, con un discorso al teatro Lirico di Milano, aveva cercato di risollevare il morale dei propri seguaci e di rilanciare il ruolo politico del fascismo repubblicano, malgrado l’andamento sfavorevole della guerra. Poi, il 6 marzo 1945, in un discorso agli ufficiali della Guardia nazionale repubblicana, incita alla difesa della valle Padana, affermando che "la Germania non può essere battuta".
Aprile è il mese dell’epilogo: il 6 gli Alleati avviano l’offensiva finale, sfondando il 17 la Linea dell’Appennino e avanzando nella pianura Padana, mentre il 14 avevano già raggiunto Imola, preceduti da un’insurrezione partigiana.
Il 18 a Torino viene proclamato uno sciopero preinsurrezionale, il 21 è liberata a Bologna, finché, il 25 aprile 1945, il CLNAI impartisce l’ordine di insurrezione generale, assumendo pieni poteri civili e militari. Nelle città del nord (Genova, Torino, Milano) confluiscono i reparti partigiani e vengono occupate fabbriche, prefetture e caserme. Tre giorni dopo, il 28 aprile, Mussolini in fuga verso la Svizzera è catturato a Dongo, in provincia di Como, dai partigiani e, in base al pronunciamento del CLN, giustiziato assieme ad altri gerarchi della RSI.
Il 29 aprile le truppe tedesche in Italia firmano a Caserta la resa senza condizioni. Il successivo 7 maggio avverrà anche a Berlino, con la conclusione definitiva della guerra in Europa.

 

Note bibliografiche:
AA. VV., Il nuovo atlante storico Garzanti, Garzanti, Milano, 1990;
AA. VV., L’età dei totalitarismi e la seconda guerra mondiale, Biblioteca di Repubblica, Milano, 2004;
FRANZINELLI Mimmo, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei crimini di guerra nazifascisti 1943-2001, Mondadori, Milano, 2002;
HOBSBAWM Eric J., Il secolo breve 1914/1991, Edizione Bur, Milano, 2000;
KLINKHAMMER Lutz, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Donzelli, Roma, 1997;
OLIVA Gianni, Le tre Italie del 1943. Chi ha veramente combattuto la guerra civile, Mondadori, Milano, 2004;
PAVONE Claudio, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Bollati-Boringhieri, Torino, 1991;
PETACCO Arrigo, La nostra guerra 1940-1945. L’avventura bellica tra bugie e verità, Mondadori, Milano, 1995.