La Città Invisibile - Parole Condivise da Convivere
La Città Invisibile - Il valore di Pane e Parole

 

Carissimo Delio,
io penso che la storia ti piaccia, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo, in quanto si uniscono tra loro in società, e lavorano, e lottano, e migliorano se stessi.
Non può non piacerti più di ogni altra cosa.
Ti abbraccio, Antonio.

Antonio Gramsci
L'ultima lettera (1937) prima della morte, al figlio tredicenne Delio.
Da "Antonio Gramsci ai figli. Lettere dal carcere".

 

Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite che continuano a ingombrare il campo visivo e la capacità di comprendere.

Italo Calvino
Da "Gli dei della città".

 

La nostra storia
è la storia della nostra anima;
e storia dell'anima umana
è la storia del mondo.

Benedetto Croce

 

Di quest'onda che rifluisce dai ricordi la città s'imbeve come una spugna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d'una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.

Italo Calvino
Da "Le città invisibili".

 

I luoghi veri
non sono mai segnati in nessuna carta.

Herman Melville

 

Come l'acqua,
le storie sono un bene
che molto spesso si dà per scontato.
Sembrano ordinarie e neutrali,
mentre sono uno dei più potenti
strumenti del bene o del male
che l'umanità abbia a disposizione.

Ben Okri

 

La vera generosità verso il futuro
consiste
nel donare tutto al presente.

Marcel Camus

 

Mi servivano delle chiavi nuove. Entro da un ferramenta. Al banco c'è un tipo sulla sessantina.
"Sono Kennet Bauers" si presenta e aziona il macchinario.
Sopra la sua testa vedo il ritratto di un vecchio dai capelli lunghi.
"Lo sai chi è quello?" mi chiede mister Bauers. "E' mio nonno, Albert Einstein!".
Mostro il mio stupore.
"Lei è ebreo?" chiedo.
Qualcosa dovevo pur dire.
"Sono americano" risponde Kennet Bauers senza interrompere il suo lavoro.
Poi indica una vecchia fotografia. Un uomo anziano con gli occhiali era chino su un libro.
"Lo sai chi è quello?" mi chiede mister Bauers. "E' il grande scrittore irlandese Joyce... mio zio!".
"Allora lei è irlandese?" domando io.
"Sono americano" risponde Kennet Bauers senza interrompere il suo lavoro, "e ora dai un'occhiata qui."
Mi mostra una foto a colori. Un pugile di colore appoggiato alle corde del ring.
"Lo riconosci? E' il grande pugile Mohamed Alì. Mio nipote..."
Devo ammettere che mi sentivo un pò intimidito. Kennet Bauers aveva l'aria di essere del tutto sano. Il suo sguardo era irridente e penetrante.
"Allora lei è musulmano?" gli chiedo.
Qualcosa dovevo pur dire.
"Sono americano" risponde Kennet Bauers senza interrompere il suo lavoro.
"Queste persone sono tutte suoi parenti?".
"Sì" dice lui.
"Tutti parenti?".
"Indubbiamente" dice lui.
"Persone di tutto il mondo? Di tutte le etnie? Di tutte le epoche?".
"Hai capito perfettamente", dice mister Bauers, "sei più intelligente di quanto pensassi."
E finito il suo lavoro, mi porge le chiavi.
Lo ringrazio e pago.
Mister Bauers annuisce con fierezza.
Uscendo, gli chiedo un'ultima volta: "Tutte le persone sono suoi parenti? Suoi fratelli?"
"Senza il minimo dubbio", risponde Kennet Bauers e aggiunge: "Se ripassi nel nostro quartiere, portami la tua fotografia...".

Sergej Dovlatov
Da "La marcia dei solitari"

 

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Italo Calvino
Da "Le città invisibili"


Nel mito greco Mnemosyne, la memoria, è la madre delle Muse ossia di tutte le arti, di ciò che dà forma e senso alla vita, proteggendola dal nulla e dall'oblio. Nella tradizione ebraica, uno dei più profondi attributi di Dio è quello di ricordare "fino alla terza, alla quarta, alla centesima generazione". Questa memoria divina è insieme giustizia e carità, rifiuto di lasciar cadere in presrizione il male e riscatto delle sue vittime.
L'atto del ricordo, in tal senso, è carità e giustizia per le vittime del male e del dolore, individui e popoli scomparsi talora anche in silenzio e nell'oscurità, schiacciati dal "terribile potere di annientamento" della Storia universale, come la chiamava Nietzsche.
La memoria è resistenza a questa violenza; essa significa andare alla ricerca dei deboli calpestati e cancellati, di quella "pietra rifiutata dai costruttori" di cui il Signore, come sta scritto, ma che giace sepolta sotto le rovine e i rifiuti e va ritrovata e custodita con amore e rispetto.
La memoria è il senso della coralità di tutti gli uomini, anche di quelli in quel momento non visibili, che essa scopre presenti, e dar vita agli assenti, come ha scritto Lorenzo Mondo, è un atto d'amore. Le persone, i valori, gli affetti, le passioni "
sono"; anche se legate a un preciso momento temporale, non appartengono soltanto ad esso, così come una poesia scritta in un certo giorno di un certo anno non appartiene soltanto a quella data, bensì al presente della vita e continua a esistere e a crescere.
Questo ricordare, strettamente connesso con l'amore, ha ben poco a che vedere con la capacità di registrare e ritenere molti dati, e con la querula nostalgia sentimentale del passato, trasfigurato e falsificato come se fosse stato migliore del presente, anche se è stato invece così spesso orribile e pieno di sciagure.
La memoria è il fondamento di ogni identità, individuale e collettiva, che si basa sulla libera conoscenza di se stessi, anche delle proprie contraddizioni e carenze, e non sulla rimozione, che crea paura e aggressività.
Custode e testimone, il ricordo è pure garanzia di libertà; non a caso le dittature cercano di alterare o distruggere la memoria storica. I nazionalismi la falsificano e la violentano, il totalitarismo soft di tanti mezzi di comunicazione la cancella, con un'insidiosa violenza che scava paurosi abissi non solo fra le generazioni, ma fra una classe e l'altra di scuola, e crea individui inconsapevoli della complessità della storia, incapaci di essere semplici come colombe e avveduti come serpenti, come vuole il Vangelo, e per ciò esposti all'inganno, alla manipolazione, alla servitù.

Claudio Magris
Da "La memoria senza ossessione",
in Corriere della Sera, 10 febbraio 2005.

 

I simboli parlano attraverso i segni,
esprimono contenuti altrimenti indefinibili.
Ma il segreto dei simboli
certe volte si perde
lungo il cammino della storia
ma poi ritorna e si svela.

Daniele Arzenta

 

Diciamo pure la libertà è qualcosa di vago.
La sua assenza non lo è.

Rodrigo Rey Rosa

 

Nulla è più faticoso
e veramente spaventoso
dell'esercizio della libertà.

Carlo Levi
Da "La paura della libertà"

 

E comunque, che cos'è questa benedetta libertà di cui oggi parliamo così tanto?
In Asia la risposta sta in una storia vecchia di secoli.
Un uomo va dal suo re che ha grande fama di saggezza e gli chiede: "Sire, dimmi, esiste la libertà nella vita?"
"Certo", gli risponde quello. "Quante gambe hai?"
L'uomo si guarda, sorpreso dalla domanda. "Due, mio Signore."
"E tu, sei capace di stare su una?"
"Certo."
"Prova allora. Decidi su quale."
L'uomo pensa un pò, poi tira su la sinistra, appoggiando tutto il proprio peso sulla gamba destra.
"Bene", dice il re. "E ora tira su anche quell'altra."
"Come? E' impossibile, mio Signore!"
"Vedi? Questa è la libertà. Sei libero, ma solo di prendere la prima decisione. Poi non più.

Tiziano Terzani
Da "Un altro giro di giostra"

 

Noi domandiamo che il governo voglia ridarci questa libertà, affinché non entri nelle nostre popolazioni la convinzione che dalla legge e dal governo nulla c'è da spettarsi, ma che vale soltanto la violenza bestiale.

Giacomo Matteotti
Dal Discorso alla Camera, del 27 luglio 1921

 

La disperazione più grande
che possa impadronirsi di una società
è il dubbio
che vivere rettamente sia inutile.

Corrado Alvaro

 

L'indifferenza è il peso morto della storia.
E' la palla di piombo per il novatore,
è la materia inerte in cui affogano spesso
gli entusiasmi più splendenti.

Antonio Gramsci

 

Volevo che i giovani sapessero, capissero, aprissero gli occhi.
Guai se i giovani di oggi dovessero crescere nell'ignoranza,
come eravamo cresciuti noi della "generazione del Littorio".
Oggi la libertà li aiuta, li protegge.
La libertà è un bene immenso, senza libertà non si vive, si vegeta.

Nuto Revelli
Dal discorso in occasione
del conferimento della laurea honoris causa, 1999.

 

Come ebreo, venni inviato a Fossoli, presso Modena dove un vasto campo di internamento, già  destinato ai prigionieri di guerra inglesi e americani, andava raccogliendo gli appartenenti alle numerose categorie di persone non gradite al neonato governo fascista repubblicano.
Al momento del mio arrivo, e cioè alla fine del gennaio 1944, gli ebrei italiani nel campo erano centocinquanta circa, ma entro poche settimane il loro numero giunse a oltre seicento. Si trattava per lo più di intere famiglie, catturate dai fascisti o dai nazisti per loro imprudenza, o in seguito a delazione. Alcuni pochi si erano consegnati spontaneamente, o perché ridotti alla disperazione dalla vita randagia, o perché privi di mezzi, o per non separarsi da un congiunto catturato, o anche, assurdamente, per "mettersi in ordine con la legge". V'erano inoltre un centinaio di militari jugoslavi internati, e alcuni altri stranieri considerati politicamente sospetti.
L'arrivo di un piccolo reparto di SS tedesche avrebbe dovuto far dubitare anche gli ottimisti; si riuscì tuttavia a interpretare variamente questa novità, senza trarne la più ovvia delle conseguenze, in modo che, nonostante tutto, l'annuncio della deportazione trovò gli animi impreparati.
Il giorno 20 febbraio i tedeschi avevano ispezionato il campo con cura, avevano fatte pubbliche e vivaci rimostranze al commissario italiano per la difettosa organizzazione del servizio di cucina e per lo scarso quantitativo della legna distribuita per il riscaldamento; avevano perfino detto che presto un'infermeria avrebbe dovuto entrare in efficienza. Ma il mattino del 21 si seppe che l'indomani gli ebrei sarebbero partiti. Tutti: nessuna eccezione. Anche i bambini, anche i vecchi, anche i malati. per dove, non si sapeva. Prepararsi per quindici giorni di viaggio. Per ognuno che fosse mancato all'appello, dieci sarebbero stati fucilati.
Soltanto una minoranza di ingenui e di illusi si ostinò nella speranza: noi avevamo parlato a lungo coi profughi polacchi e croati, e sapevamo che cosa voleva dire partire.
Nei riguardi dei condannati a morte, la tradizione prescrive un austero cerimoniale, atto a mettere in evidenza come ogni passione e ogni collera siano ormai spente, e come l'atto di giustizia non rappresenti che un triste dovere verso la società, tale da potere accompagnarsi a pietà verso la vittima da parte dello stesso giustiziere. Si evita perciò al condannato ogni cura estranea, gli si concede la solitudine, e, ove lo desideri, ogni conforto spirituale, si procura insomma che egli non senta intorno a sé l'odio o l'arbitrio, ma la necessità e la giustizia, e, insieme con la punizione, il perdono.
Ma a noi questo non fu concesso, perché eravamo troppi, e il tempo era poco, e poi, finalmente, di che cosa avremmo dovuto pentirci, e di che cosa venir perdonati? Il commissario italiano dispose dunque che tutti i servizi continuassero a funzionare fino all'annunzio definitivo; la cucina rimase perciò in efficienza, le corvées di pulizia lavorarono come di consueto, e perfino i maestri e i professori della piccola scuola tennero lezione a sera, come ogni giorno. Ma ai bambini quella sera non fu assegnato compito.
E venne la notte, e fu una notte tale, che si conobbe che occhi umani non avrebbero dovuto assistervi e sopravvivere. Tutti sentirono questo: nessuno dei guardiani, nè italiani nè tedeschi, ebbe animo di venire a vedere che cosa fanno gli uomini quando sanno di dover morire.
Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri continuarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all'alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare?
(...) Con la assurda precisione a cui avremmo più tardi dovuto abituarci, i tedeschi fecero l'appello. Alla fine, - Wieviel Stueck? - domandò il maresciallo; e il caporale salutò di scatto, e rispose che i "pezzi" erano seicentocinquanta, e che tutto era in ordine; allora ci caricarono sui torpedoni e ci portarono alla stazione di Carpi. Qui ci attendeva il treno e la scorta per il viaggio. Qui ricevemmo i primi colpi: e la cosa fu così nuova e insensata che non provammo dolore, nel corpo nè nell'anima. Soltanto uno stupore profondo: come si può percuotere un uomo senza collera?
I vagoni erano dodici, e noi seicentocinquanta; nel mio vagone eravamo quarantacinque soltanto, ma era un vagone piccolo. Ecco dunque, sotto i nostri occhi, sotto i nostri piedi, una delle famose tradotte tedesche, quelle che non ritornano, quelle di cui, fremendo e sempre un poco increduli, avevamo così spesso sentito narrare. Proprio così, punto per punto: vagoni merci, chiusi dall'esterno, e dentro uomini donne bambini, compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all'ingiù, verso il fondo. Questa volta dentro siamo noi.
(...) Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra.
(...) Venne a un tratto lo scioglimento. La portiera fu aperta con fragore, il buio echeggiò di ordini stranieri, e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano, che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli. Ci apparve una vasta banchina illuminata da riflettori. Poco oltre, una fila di autocarri. Poi tutto tacque di nuovo. Qualcuno tradusse: bisognava scendere coi bagagli, e depositare questi lungo il treno. In un momento la banchina fu brulicante di ombre: ma avevamo paura di rompere quel silenzio, tutti si affaccendavano intorno ai bagagli, si cercavano, si chiamavano l'un l'altro, ma timidamente, a mezza voce.
Una decina di SS stavano in disparte, l'aria indifferente, piantati a gambe larghe. A un certo momento, penetrarono fra di noi, e, con voce sommessa, con visi di pietra, presero a interrogarci rapidamente, uno per uno, in cattivo italiano. Non interrogavano tutti, solo qualcuno. "Quanti anni? Sano o malato?" e in base alla risposta ci indicavano due diverse direzioni.
Tutto era silenzioso come in un acquario, e come in certe scene di sogni. Ci saremmo attesi qualcosa di più apocalittico: sembravano semplici agenti d'ordine. Era sconcertante e disarmante. Qualcuno osò chiedere dei bagagli: risposero "bagagli dopo"; qualche altro non voleva lasciare la moglie: dissero "dopo di nuovo insieme"; molti madri non volevano separarsi dai figli: dissero "bene bene, stare con figlio". Sempre con la pacata sicurezza di chi non fa che il suo ufficio di ogni giorno; ma Renzo indugiò un istante di troppo a salutare Francesca, e allora con un solo colpo in pieno viso lo stesero a terra; era il loro ufficio di ogni giorno.
In meno di dieci giorni tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora nè dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente. Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria, di ognuno di noi era stato giudicato se potesse o no lavorare utilmente per il Reich; sappiamo che nei campi rispettivamente di Buna-Monowitz e Birkenau, non entrarono, del nostro convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne, e che di tutti gli altri, in numero di più di cinquecento, non uno era vivo due giorni più tardi. Sappiamo anche, che non sempre questo pur tenue principio di discriminazione in abili e inabili fu seguito, e che successivamente fu adottato spesso il sistema più semplice di aprire entrambe le portiere dei vagoni, senza avvertimenti nè istruzioni ai nuovi arrivati. Entravano in campo quelli che il caso faceva scendere da un lato del convoglio; andavano in gas gli altri.

Primo Levi
Da "Se questo è un uomo".

 

La libertà
è sempre e solo la libertà
di quelli che la pensano in modo diverso.

Rosa Luxemburg

 

Prima essi attaccarono l'opposizione,
ma io non ero l'opposizione, così non li difesi.
Poi essi attaccarono gli ebrei,
ma io non ero un ebreo, così non li difesi.
Poi essi attaccarono gli studenti militanti,
ma io non ero uno studente militante, così non li difesi.
Poi essi attaccarono i sindacati,
ma io non ero un attivista sindacale, così non li difesi.
Poi essi attaccarono gli insegnanti e gli intellettuali,
ma io non ero uno di loro, così non li difesi.
E quando essi attaccarono me,
non era rimasto nessuno a difendermi.


Martin Niemoeller
Pastore luterano tedesco, antinazista,
internato a Dachau durante l'Olocausto.

 

Ci sedemmo dalla parte del torto,
visto che tutti gli altri posti erano occupati.

Bertolt Brecht

 

La debolezza della forza
consiste
nel credere solo alla forza.

Paul Valéry

 

La guerra non è questione di vittoria o sconfitta.
La guerra è essenzialmente una questione
tra morire o infliggere la morte.
Rappresenta il fallimento assoluto dell'essere umano.

Robert Fisk

 

Finché la guerra continuerà ad essere giudicata cosa cattiva,
eserciterà sempre un fascino.
Quando sarà considerata volgare,
cesserà di essere popolare.

Oscar Wilde

 

La vita in tempo ed in zona di guerra è come una piuma che il caso fortuito fa volteggiare per aria e che posa qua e là, nel nido dell'uccello o nella pozzanghera ove miseramente affonda.

Guido Balzani
Tenente medico degli Alpini, il 6 ottobre 1942,
dal suo Diario di Guerra sul fronte russo.

 

Finché gli uomini magnificheranno i loro massacri, la guerra non potrà sparire dalla faccia del mondo e che la pace possa durare cento anni è una beata illusione alla quale può credere solamente un povero ingenuo. Noi non crediamo. Solo questa è l'ultima che faccio e spero di non avere figli maschi da offrire al futuro macello.

Soldato italiano
Da una lettera scritta alla moglie,
nell'aprile 1942, dal fronte russo.

 

Cuntént, ma pròpri cuntént
a sò stè una masa ad vòlti tla vòita
mò piò di tòtt quant
ch'i m'a liberè in Germania
ch'a m' sò mèss a guardè una farfàla
sènza la vòia ad magnèla.

Contento, ma proprio contento
lo sono stato molte volte nella vita
ma più di tutte quando
mi hanno liberato in Germania
che mi sono messo a guardare una farfalla
senza la voglia di mangiarla.

Tonino Guerra
"La farfàla", da "Il polverone, storie per una notte quieta" (1992)

 

In cabina di comando c'era l'ingegnere col binocolo e il cronometro, davanti ai comandi radio, e lì è incominciata la cerimonia.
Sembrava di essere davanti alla televisione quando si toglie l'audio. Lui schiacciava i bottoni uno per uno, come dei campanelli, ma non si sentiva niente, solo noi che respiravamo, e respiravamo come in punta di piedi. E a un certo punto si è visto il derrick che cominciava a pendere, come un bastimento quando sta per andare a fondo: anche di lontano si vedevano i vortici che facevano i piedi affondando nell'acqua, e le onde arrivavano fino a noi e scuotevano il rimorchiatore, ma rumori non se ne sentivano.
Pendeva sempre di più, la piattaforma di sopra si sollevava, finché facendo una gran schiuma si è messo in piedi, è disceso ancora un poco e si è fermato netto, come un'isola, ma era un'isola che l'avevamo fatta noi; e io non so gli altri, magari non pensavano a niente, ma io ho pensato al Padreterno quando ha fatto il mondo, dato che sia stato proprio lui, e quando ha separato il mare dall'asciutto, anche se non c'entrava poi tanto. Allora abbiamo ripreso la barca, sono arrivati anche quelli dell'altro rimorchiatore, e ci siamo arrampicati tutti sulla piattaforma; abbiamo rotto una bottiglia e abbiamo fatto un pò di baldoria, perché  costuma così.
E adesso non vada a dirlo in giro, ma a quel momento mi è venuto come da piangere. Non per via del derrick, ma per via di mio padre.
Voglio dire, quel sacramento di ferro piantato in mezzo al mare mi ha fatto venire in mente un monumento balordo che una volta aveva fatto mio padre con dei suoi amici, un pezzo per volta, di domenica dopo le bocce, tutti vecchiotti, e tutti un pò strambi e un pò bevuti.
Avevano tutti fatto la guerra, chi in Russia, chi in Africa, chi non so dove altro, e ne avevano basta; così, essendo che erano tutti più o meno del mestiere, uno sapeva saldare, uno tirava la lima, uno batteva la lastra e così via, avevano combinato di fare un monumento e di regalarlo al paese, ma doveva essere un monumento all'incontrario. Di ferro invece che di bronzo, e invece che tutte le aquile e le corone di gloria e il soldato che viene avanti con la baionetta, volevano fare la statua del panettiere ignoto: sì, di quello che ha inventato la maniera di fare le pagnotte; e farla di ferro, appunto, in lamiera nera da venti decimi, saldata e imbullonata.
L'hanno anche fatta, e niente da dire era bella robusta, ma come estetica non è riuscita tanto bene. Così il sindaco e il parroco non l'hanno voluta, e invece che in mezzo alla piazza, sta in una cantina a far la ruggine, in mezzo alle bottiglie di vino buono.

Primo Levi
Da "La chiave a stella"


Quando il termometro segna molti gradi sotto zero, i cadaveri sulla neve assumono un aspetto placido e decorativo, come fantocci di cera. Il gelo impedisce la decomposizione, i lineamenti restano rigidi, i colori, anche neutri, assumono una grande vivacità nel contrasto con l'immane lenzuolo bianco.
Non ricordo come si chiamasse quel villaggio. Ricordo villaggi in fiamme nei quali le isbe di paglia e di fango ardevano come torce festanti; villaggi ingenui e scintillanti sotto il sole; villaggi sordidi e ostili. Questo invece è il villaggio delle bambole di cera.
(...) A tutti erano stati tolti gli stivali e le calze e i loro piedi, le loro mani, i loro volti erano rosei come carne di uomini vivi. Non erano stati rispettati, vivi: tanto che erano stati uccisi. Nessuno li aveva rispettati, morti: poiché erano stati spogliati e derubati.
Solo il gelo li rispettava, conservandoli rosei e vividi sulla coltre bianca. E la mia anima, che si è fermata a guardarli all'angolo della piazza.

Gino Beraudi
Capitano degli Alpini, divisione Cuneense,
dal suo diario di guerra sul fronte russo (dicembre 1942).

 

Chissà dove mi hanno sepolto.
Adesso
non sono più tutto vivo.


Carlo Silva
Da "Vengo dalla Siberia",
descrivendo l'amputazione della sua gamba sinistra congelata,
a ventuno anni, sul fronte russo.

 

Bertolt Brecht l'avete conosciuto?
Indossava una giacchetta grigia per essere dimesso, perché lottava per l'uguaglianza.
Quando un gigante si batte per l'uguaglianza, ci rende tutti uguali a giganti.

Peter Hacks

 

Il fascismo si è ucciso da solo,
da quando ha insegnato
per forza
a fare la guerra
anche a chi non la voleva fare.

Un antifascista trentino

 

Storie, storie. Gli uomini combattono tutti, c'è lo stesso furore in loro, cioè non lo stesso, ognuno ha il suo furore, ma ora combattono tutti insieme, tutti ugualmente, uniti. Poi c'è il Dritto, c'è Pelle.... Tu non capisci quanto loro costi... Ebbene anche loro, lo stesso furore... Basta un nulla per salvarli o per perderli... Questo è il lavoro politico... Dare loro un senso... (...) Questo non è un esercito, vedi da dir loro: questo è il dovere. Non puoi parlar di dovere qui, non puoi parlare di ideali: patria, libertà, comunismo. Non ne vogliono sentir parlare di ideali, gli ideali son buoni tutti ad averli, anche dall'altra parte ne hanno di ideali. (...) Non hanno bisogno di miti, di evviva da gridare. Qui si combatte e si muore così,  senza gridare evviva. (...) Vedi, a quest'ora i distaccamenti cominciano a salire verso le postazioni, in silenzio. Domani ci saranno dei morti, dei feriti. Loro lo sanno. Cosa li spinge a questa vita, cosa li spinge a combattere, dimmi?
Vedi, ci sono i contadini, gli abitanti di queste montagne, per loro è già più facile. I tedeschi bruciano i paesi, portano via le mucche. E' la prima guerra umana la loro, la difesa della patria, i contadini hanno una patria. Così li vedi con noi altri, vecchi e giovani, con i loro fucilacci e le cacciatore di fustagno, paesi interi che prendono le armi; noi difendiamo la loro patria, loro sono con noi. E la patria diventa un ideale sul serio per loro, li trascende, diventa la stessa cosa della lotta: loro sacrificano anche le case, anche le mucche pur di continuare a combattere. Per altri contadini invece la patria rimane una cosa egoistica: casa, mucche, raccolto. E per conservare tutto diventano spie, fascisti; interi paesi nostri nemici...
Poi, gli operai. Gli operai hanno una loro storia di salari, di scioperi, di lavoro e lotta a gomito a gomito. Sono una classe, gli operai. Sanno che c'è del meglio nella vita e che si deve lottare per questo meglio. Hanno una patria anche loro, una patria ancora da conquistare, e combattono qui per conquistarla. Ci sono gli stabilimenti giù nelle città, che saranno loro; vedono già  le scritte rosse sui capannoni e bandiere alzate sulle ciminiere. Ma non ci sono sentimentalismi, in loro. Capiscono la realtà e il modo di cambiarla.
Poi c'è qualche intellettuale o studente, ma pochi, qua e là, con delle idee in testa, vaghe e spesso storte. Hanno una patria fatta di parole, o tutt'al più di qualche libro. Ma combattendo troveranno che le parole non hanno più nessun significato, e scopriranno nuove cose nella lotta degli uomini e combatteranno così senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate, con significati insospettati.
Poi chi c'è ancora? Dei prigionieri stranieri, scappati dai campi di concentramento e venuti con noi; quelli combattono per una patria appunto perché è lontana.
Ma capisci che questa è tutta una lotta di simboli, che uno per uccidere un tedesco deve pensare non a quel tedesco ma a un altro, con un gioco di trasposizioni da slogare il cervello, in cui ogni cosa o persona diventa un'ombra cinese, un mito?
(...) Non è così, lo so anch'io. Non è così. Perché c'è qualcos'altro, comune a tutti, un furore.
Il distaccamento del Dritto: ladruncoli, carabinieri, militi, borsaneristi, girovaghi. Gente che s'accomoda nelle piaghe della società  e s'arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere e niente da cambiare. Oppure tarati fisicamente, o fissati, o fanatici. Un'idea rivoluzionaria in loro non può nascere, legati come sono alla ruota che li macina. Oppure nascerà  storta, figlia della rabbia, dell'umiliazione.
Perchè combattono, allora? Non hanno nessuna patria, nè vera nè inventata. Eppure tu sai che c'è coraggio, che c'è furore anche in loro. E' l'offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte, come Pelle, dalla brigata nera, a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso.
La stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa... ma tutto  il contrario. Perchè qui si  è nel giusto, lì nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, lì ci si ribadisce la catena.
Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto.
Ma allora c'è la storia.
E' che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall'altra. Da noi, niente va perduto, tutto servirà, se non a liberare noi, a liberare i nostri figli, a costruire un'umanità  senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi.
L'altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell'odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi.
Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali.
Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l'operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione.
(...) Kim è logico, quando analizza con i commissari la situazione dei distaccamenti, ma quando ragiona andando da solo per i sentieri, le cose ritornano misteriose e magiche, la vita degli uomini piena di miracoli. Abbiamo ancora la testa piena di miracoli e di magie, pensa Kim. Ogni tanto gli sembra di camminare in un mondo di simboli, come il piccolo Kim in mezzo all'India, nel libro di Kipling tante volte riletto da ragazzo.
(...) Perché lui cammina quella notte per la montagna, prepara una battaglia, ha ragione di vite e di morti, dopo la sua melanconica infanzia di bambino ricco, dopo la sua scialba adolescenza di ragazzo timido?
A volte gli sembra d'essere in preda a furibondi squilibri, d'agire in preda all'isteria. No, i suoi pensieri sono logici, può analizzare ogni cosa con perfetta chiarezza. Ma non è un uomo sereno. Sereni erano i suoi padri, i grandi padri borghesi che creavano la ricchezza. Sereni sono i proletari che sanno quel che vogliono, i contadini che ora vegliano di sentinella ai loro paesi, sereni sono i sovietici che hanno deciso tutto e ora fanno la guerra con accanimento e  metodo, non perché sia bello, ma perché bisogna.
(...) Sarà mai sereno, lui, Kim? Forse un giorno si arriverà ad essere tutti sereni, e non capiremo più tante cose perché capiremo tutto. Ma qui gli uomini hanno occhi torbidi e facce ispide, ancora, e Kim è affezionato a questi uomini, al riscatto che si muove in loro. Quel bambino del distaccamento del Dritto, come si chiama? Pin? Con quello struggimento di rabbia nel viso lentigginoso, anche quando ride... Dicono sia fratello di una prostituta. Perché combatte? Non sa che combatte per non essere più fratello di una prostituta. E quei quattro cognati terroni combattono per non essere più dei terroni, poveri emigrati, guardati come estranei. E quel carabiniere combatte per non sentirsi più carabiniere, sbirro alle costole dei suoi simili. Poi Cugino, il gigantesco, buono e spietato Cugino... dicono che vuole vendicarsi d'una donna che l'ha tradito...
Tutti abbiamo una ferita segreta per riscattare la quale combattiamo.
(...) Kim pensa alla colonna di tedeschi e fascisti che forse stanno già avanzando su per la vallata, verso l'alba che porterà la morte a dilagare su di loro, dalle creste delle montagne. E' la colonna dei gesti perduti: ora un soldato svegliandosi a uno scossone del camion pensa: ti amo, Kate. Fra sei, sette ore morirà, lo uccideremo; anche se non avesse pensato: ti amo, Kate, sarebbe stato lo stesso, tutto quello che lui fa e pensa è perduto, cancellato dalla storia.
Io invece cammino per un bosco di larici e ogni mio passo è storia; io penso: ti amo, Adriana, e questo è storia, ha grandi conseguenze, io agirò domani in battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: ti amo, Adriana. Forse non farà cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo  adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.
Certo io potrei adesso invece di fantasticare come facevo da bambino, studiare mentalmente i particolari dell'attacco, la disposizione delle armi e delle squadre. Ma mi piace troppo continuare a pensare a quegli uomini, a studiarli, a fare delle scoperte su di loro.
Cosa faranno dopo, per esempio? Riconosceranno nell'Italia del dopoguerra qualcosa fatta da loro? Capiranno il sistema che si dovrà usare allora per continuare  la nostra lotta, la lunga lotta sempre diversa del riscatto umano?
Lupo Rosso lo capirà, io dico. Dovrebbero essere tutti come Lupo Rosso. Dovremmo essere tutti come Lupo Rosso. Ci sarà  invece chi continuerà col suo furore anonimo, ritornato individualista, e perciò sterile: cadrà nella delinquenza, la grande macchina dai furori perduti, dimenticherà che la storia gli ha camminato al fianco, un giorno, ha respirato attraverso i suoi denti serrati. Gli ex fascisti diranno: i partigiani! Ve lo dicevo io! Io l'ho capito subito! E non avranno capito niente, nè prima, nè dopo.
Kim un giorno sarà sereno. Tutto è ormai chiaro in lui: il Dritto, Pin, i cognati calabresi. Sa come comportarsi con l'uno e con l'altro, senza paura nè pietà.
(...) Due ore fa parlava con quel barabba del Dritto, con il fratellino della prostituta, ora arriva al distaccamento di Baleno, il migliore della Brigata. C'è la squadra dei russi, con Baleno, ex prigionieri scappati dai lavori di fortificazione del confine.
- Chi va là!
E' la sentinella: un russo. Kim dice il suo nome.
- Portare novità, commissario?
E' Aleksjéi, figlio d'un mugik, studente in ingegneria.
- Domani c'è battaglia, Aleksjéi.
- Battaglia? Cento fascisti kaput?
- Non so quanti kaput, Aleksjéi. Non so bene neanche quanti vivi.
- Sali e tabacchi, commissario.
Sali e tabacchi è la frase italiana che ha fatto più impressione su Aleksjéi, la ripete sempre come un intercalare, un augurio.
- Sali e tabacchi, Aleksjéi.
Domani sarà una grande battaglia.
Kim è sereno. Continua a pensare: ti amo, Adriana.
Questo, nient'altro che questo, è la storia.

Italo Calvino
Da "Il sentiero dei nidi di ragno"

 

Civiltà ed umanità a questo punto riusciranno a sopravvivere soltanto se si verificherà una rivoluzione nel pensiero politico mondiale.

New York Times
Da un editoriale in prima pagina,
all'indomani dello scoppio della prima bomba atomica.

 

Le cose
che possono distruggerci
sono
la politica senza princìpi,
il piacere senza coscienza,
la ricchezza senza lavoro,
la conoscenza senza carattere,
gli affari senza moralità,
la scienza senza umanità,
la religione senza sacrificio.

Gandhi

 

Noi sappiamo che le baionette tutto possono,
ma su di esse non ci si può sedere.
Non rimane dunque che
la strada maestra della ragione,
costi pure sacrifici, rinunce, perdoni.

Gianni Quondamatteo
Sindaco di Riccione nominato dal locale CLN, nel dicembre 1944,
scrittore e giornalista, ufficiale di marina durante il conflitto,
poi comandante partigiano.
Da "Conversazioni radio", 1945.

 

Mi hanno chiesto:
qual è l'origine della pace?
Io rispondo:
l'origine della pace
è avere un cuore
che comprenda il dolore dell'altro.

Un sopravvissuto di Hiroshima

 

Ora basta con la finzione. Io ho cinquant’anni.
Siamo in pieno duemila e mi domando: “che eredità stiamo lasciando ai nostri figli?”. Forse in alcuni casi un normale benessere, ma non è questo il punto. Voglio dire, c’è un’idea, un sentimento, una morale, una visione del mondo? No, tutto questo non lo vedo. Allora ci saranno senz’altro delle colpe. Sì, il coro della tragedia greca: “i figli devono espiare le colpe dei padri”. Siamo forse noi padri insensibili, autoritari, legislatori di stupide istituzioni? Credo di no. Allora dove sono le nostre colpe? E’ che è troppo facile per noi essere pacifisti, antiautoritari e democratici. I nostri nonni avevano fatto la Resistenza. Forse avremmo dovuto farla anche noi, la Resistenza. E’ sempre tempo di Resistenza. Magari ad altre cose. Allora perché invece di esibire il nostro atteggiamento libertario, non abbiamo dato uno sguardo all’avanzata dello sviluppo insensato? Perché, invece di parlare di buoni e di cattivi, non abbiamo alzato un muro contro la mano invisibile e spudorata del mercato? Perché avvertiamo l’appiattimento del consumo, ma continuiamo a comprare motorini ai nostri figli? Perché non ci siamo mai ribellati alla violenza dell’oggetto? Perché non abbiamo mai preso in considerazione parole come “essenzialità”? Il mercato ci ringrazia. Gli abbiamo dato il nostro prezioso contributo.
E voi, sì, voi come figli, voi venticinquenni di ora, non avete neanche una colpa? Dov’è il segno di una vita diversa? Forse sono solo io che non lo vedo, ma rispondetemi. Dov’è la spinta verso qualcosa che sta per rinascere? Dov’è la vostra individuazione del nemico? Quale Resistenza avete fatto contro il potere, contro le ideologie dominanti, contro la logica del consumo, contro il dilagare del superfluo? Il mercato ringrazia anche voi. D’accordo, non posso essere io a lanciare ingiurie contro la vostra impotenza. Ho da pensare alla mia. Però, spiegatemi, perché vi abbandonate ad un’inerzia così silenziosa e passiva? Perché vi rassegnate a questa vita mediocre, senza l’ombra di un desiderio vero, di uno slancio, di una proposta qualsiasi? Vitale, rigorosa, qualcosa che possa esprimere almeno un rifiuto, un’indignazione, un dolore... Perché il dolore ti aiuta a crescere, il dolore è visibile, chiaro, localizzato.
Ma quale dolore? Ormai non sappiamo neanche più cos’è, il dolore. Siamo caduti in una specie di noia, di depressione. Certo, è il marchio dell’epoca, la malattia dell’epoca. E quando la depressione si insinua dentro di noi, tutto sembra privo di significato. Senza sostanza. Senza nulla. Salvo questo nulla, non identificabile, che ci corrode.

Giorgio Gaber
Da “Io quella volta lì avevo 25 anni. Omaggio a Giorgio Gaber”.
Sei monologhi inediti, uno per decennio (dagli anni Quaranta a quelli Novanta), che Giorgio Gaber stava scrivendo al momento della morte. In ogni decennio il protagonista è sempre un giovane di 25 anni, quindi sei storie differenti, tranne un epilogo finale che si svolge ai giorni d’oggi, in cui il protagonista dichiara la sua età reale e, come tale, si rivolge ad un giovane di oggi.

 

Mi interessa la poesia che parla di grandi questioni,
questioni di vita e di morte, sì,
e la questione di come stare al mondo.

Raymond Carver

 

"E la guerra?" disse la ragazza seduta alla sinistra di Chance, sporgendosi verso di lui.
"La guerra? Quale guerra?", disse Chance. "Ho visto molte guerre alla tv."
"Ahimè", disse la donna. "In questo paese, quando sogniamo la realtà, la televisione ci sveglia. Per milioni di persone, immagino, è solo un altro programma televisivo. Ma laggiù, al fronte, veri uomini stanno perdendo la vita."

Jerzy Kosinski
Da "Oltre il giardino/Presenze" (1971).

 

Il cielo sopra le città non è come altrove:
ci si forma una specie d'ombra, o d'impronta, o di sdrucitura.
Più la città consuma
materiali, energie, parole, giovinezze,
più il suo cielo si logora.

Italo Calvino
Da "Altre città".

 

Il mondo è fatto più di spirito che di materia,
e quello che non si vede
è più importante di quello che si vede.

Mick Brown
Da "Il turista spirituale"

 

La povertà
delle società ricche
è la solitudine.

Madre Teresa di Calcutta

 

Lo straniero è in noi.
Quando fuggiamo o combattiamo lo straniero,
lottiamo contro il nostro inconscio.


Julia Kristeva

 

Non bisogna mai pensare a due culture diverse
come a due cose separate,
due isole separate da un mare,
ma piuttosto a due pareti della stessa stanza
che sono necessarie
perché la stanza esista.

Amitav Ghosh

 

Voi avete l'orologio.
Noi abbiamo il tempo.

Proverbio africano

 

Se un Nuovo Mondo
venisse scoperto ora,
lo sapremmo vedere?

Italo Calvino
Da "Com'era nuovo il nuovo mondo".

 

Mi piacerebbe avere mani enormi
violente e selvagge
per strappare frontiere una a una
e lasciare come frontiera solo l'aria.
Che nessuno abbia terra
come si ha un abito:
che tutti abbiano terra
come si ha l'aria.


Jorge Debravo
Da "Nocturno sin patria".

 

Solo le strade romane portano ancora lontano.
E solo le tracce più antiche portano più lontano.
Anche la pianura, anche Berlino ha i suoi colli nascosti.
E là soltanto inizia il mio paese, il paese dei racconti.
Perché tutti, già da bambini, non vedono passaggi, ponti e interstizi
giù, sulla terra, e su, nel cielo?
Se ognuno li vedesse
ci sarebbe una storia senza assassini, né guerre.

Peter Handke
Da uno dei monologhi di Omero,
in "Il cielo sopra Berlino" di Wim Wenders, 1987.

 

Qualcuno che la sa lunga mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti, di ogni occhio è il cielo intero.
E' mio, quando lo guardo. E' del vecchio, del bambino,
del re, dell'ortolano, del poeta, dello spazzino.
Non c'è povero tanto povero che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito ne ha quanto il leone.
Il cielo è di tutti gli occhi, ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera, le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque, in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo e la terra è tutta a pezzetti.

Gianni Rodari
Da "Il libro degli errori"

 

C'è sempre qualcuno da condannare o da ghettizzare: oggi gli stupidi e i disabili, domani tutti quelli che non la pensano come noi. Come specie siamo ancora molto tribali: noi siamo i buoni, gli altri i cattivi.

Doris Lessing

 

Poi, viaggiando,
potei constatare che
non tutti quelli che sentono
in modo contrario da noi
sono per questo
barbari o selvaggi.

Cartesio
Da "Discorso sul metodo".

 

Lunedì mi hanno preso i soldi,
martedì mi hanno insultato,
mercoledì mi hanno strappato l'uniforme,
giovedì il mio corpo sanguina,
venerdì è finita,
sabato libertà.

Vijay Singh
Studente indiano di Manchester, si è suicidato il 17 ottobre 1997, a 13 anni, impiccandosi a casa sua.
Giocava benissimo a calcio, era considerato dal suo insegnante una "superstar" del pallone, ha fatto in tempo a scrivere, poche poesia, giudicate bellissime, e che aveva intitolato "Poemi sulle prepotenze". Era di religione sikh, e per questo portava sempre il turbante, anche durante le partite: per questo fatto i suoi compagni bianchi lo insultavano, lo picchiavano, si accanivano in ogni modo contro di lui.

 

Ho sentito che non volete imparare niente.
Deduco: siete milionari.
Il vostro futuro è assicurato,
esso è davanti a voi in piena luce.
I vostri genitori
hanno fatto sì che i vostri piedi
non urtino nessuna pietra.
Allora non devi imparare niente.
Così come sei
puoi rimanere.
E se, nonostante ciò, ci sono delle difficoltà,
dato che i tempi,
come ho sentito, sono insicuri,
hai i tuoi capi che ti dicono esattamente
ciò che devi fare affinché stiate bene.
Essi hanno letto i libri di quelli
che sanno le verità
che hanno validità in tutti i tempi
e le ricette che aiutano sempre.
Dato che ci sono così tanti che pensano per te
non devi muovere un dito.
Però, se non fosse così,
allora dovresti studiare.

Bertolt Brecht
"Ho sentito che non volete imparare niente"

 

L'umanità sarà poca, meticcia, zingara e andrà a piedi.
Avrà per bottino la vita,
la più grande ricchezza da trasmettere ai figli.

Erri De Luca
Da "Solo andata".

 

Imparare nella vita,
imparare insieme al nostro popolo,
imparare nei libri
e nelle esperienze degli altri,
imparare sempre.

Amilcar Cabral

 

Vi chiedo di essere
essenzialmente umani,
ma così umani
da avvicinarvi al meglio
di ciò che è umano.

Ernesto Che Guevara

 

Forse l’etica
è una scienza scomparsa dal mondo intero.
Non fa niente,
dovremo inventarla un’altra volta.

Jorge Louis Borges

 

Dimenticare" ha la stessa radice di demente.
Chi dimentica perde la mente, diventa stupido.
Invece "ri-cor-dare" viene da cuore,
che per gli antichi era la sede della memoria.

Ascanio Celestini

 

Materiali che adesso giacciono nella polvere,
potranno forse essere utilizzati
per costruire uno splendido edificio.

Emmanuel Kant


La vita non è quella che si è vissuta,
ma quella che si ricorda
e come la si ricorda
per raccontarla.

Gabriel Garcia Marquez

 

Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.

Fabrizio De Andrè
Da "Una goccia di splendore. Autobiografia per parole e immagini".

 

La scrittura
lega le parole e gli esseri,
gli esseri tramite le parole,
il lettore all'autore
e i lettori tra loro.

Marc Augé

 

In un certo senso, credo che sempre scriviamo di qualcosa che non sappiamo: scriviamo per rendere possibile al mondo non scritto di esprimersi attraverso noi... Dall'altro lato delle parole c'è sempre qualcosa che cerca d'uscire dal silenzio, di significare attraverso il linguaggio, come battendo colpi su un muro di prigione.

Italo Calvino
In una conferenza tenuta a New York nel 1983,
da "Mondo scritto e mondo non scritto".

 

Leggere è come tradurre, perché le esperienze di due diverse persone non saranno mai identiche.
Un cattivo lettore è simile a un cattivo traduttore. Per imparare a leggere nel modo giusto l'erudizione è meno importante dell'istinto.

Wystan Hugh Auden


C'è un'erudizione della conoscenza che è esattamente ciò che chiamiamo erudizione, e c'è un'erudizione dell'intelletto che è ciò che si chiama cultura. Ma c'è anche un'erudizione della sensibilità.
L'erudizione della sensibilità non ha niente a che vedere con l'esperienza della vita. L'esperienza della vita non insegna niente, così come niente insegna la storia. La vera esperienza consiste nel diminuire il contatto con la realtà e nell'aumentare l'analisi di quel contatto. In tal modo la sensibilità si allarga e si approfondisce, perché in noi c'è tutto; basta cercarlo e saperlo cercare.
Cosa significa viaggiare e a cosa serve viaggiare? Qualsiasi tramonto è il tramonto; non è necessario andare a vederlo a Costantinopoli. E il senso di libertà che nasce dai viaggi? Posso averlo andando da Lisbona a Benfica e forse con un'intensità maggiore di chi va da Lisbona in Cina, perché se la libertà non è in me non la troverò da nessuna parte.
Per quanto in alto possiamo salire e per quanto in basso possiamo scendere, non usciamo mai dalle nostre sensazioni. Non sbarchiamo mai da noi stessi. Non arriviamo mai ad essere altri, se non diventando altri attraverso l'immaginazione sensibile di noi stessi.
I veri paesaggi sono quelli che noi stessi creiamo.

Fernando Pessoa

 

La città è una ruota
che ha per perno
il luogo in cui tu stai immobile,
ascoltando.

Italo Calvino
Da "Un re in ascolto"

 

Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.
Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un'anima
e tutte le anime erano un tutt'uno.
Quando il bambino era bambino
non aveva opinioni su nulla,
non aveva abitudini,
sedeva spesso con le gambe incrociate,
e di colpo si metteva a correre,
aveva un vortice tra i capelli
e non faceva facce da fotografo.
Quando il bambino era bambino,
era l'epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono là?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l'apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c'è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c'ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?
Quando il bambino era bambino,
si strozzava con gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
e con il cavolfiore bollito,
e adesso mangia tutto questo, e non solo per necessità.
Quando il bambino era bambino,
una volta si svegliò in un letto sconosciuto,
adesso questo gli succede sempre.
Molte persone gli sembravano belle,
e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di fortuna.
Si immaginava chiaramente il Paradiso,
e adesso riesce appena a sospettarlo,
non riusciva a immaginarsi il nulla,
e oggi trema alla sua idea.
Quando il bambino era bambino,
giocava con entusiasmo,
e, adesso, è tutto immerso nella cosa come allora,
soltanto quando questa cosa è il suo lavoro.
Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela,
ed è ancora così.
Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere,
ed è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così,
a ogni monte,
sentiva nostalgia per una montagna ancora più alta,
e in ogni città,
sentiva nostalgia per una città ancora più grande,
ed è ancora così,
sulla cima di un albero prendeva le ciliegie tutto euforico,
com'è ancora oggi,
aveva timore davanti a ogni estraneo,
e continua ad averlo,
aspettava la prima neve,
e continua ad aspettarla.
Quando il bambino era bambino,
lanciava contro l'albero un bastone come fosse una lancia,
che ancora continua a vibrare.

Peter Handke
"Elogio dell'infanzia"'

 

L'intero mondo
soffia in un granello
e ne fa un albero.

Paul Valéry

 

Non andare dove ti porta la strada.
Va piuttosto dove non c'è strada,
e lascia una traccia.

Ralph Waldo Emerson

 

Sogna
e sarai libero nello spirito,
lotta
e sarai libero nella vita.

Ernesto Che Guevara

 

L'utopia sta all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Faccio dieci passi e l'orizzonte si allontana di dieci passi. Per quanto cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? A questo: serve a camminare.

Eduardo Galeano

 

Seguite gli esempi migliori.
Quelli di coloro che abbandonano tutto
per costruire un futuro migliore.

Salvador Allende

 

Tu sei un ingenuo. Tu credi che se un uomo ha un'idea nuova, geniale, abbia anche il dovere di divulgarla. Tu sei un ingenuo. Prima di tutto perché credi ancora alle idee geniali. Ma che quel è peggio credi all'effetto benefico dell'espansione della cultura. No, al momento ogni uomo dovrebbe avere un suo luogo del pensiero protetto e silenzioso. La cultura deve essere segreta. Non esiste una sola idea importante di cui la stupidità umana non abbia saputo servirsi. Tu mi dirai che la divulgazione è un dovere civile e che evolve il livello culturale della gente. Non riesci proprio a distaccarti da un residuo populista e anche un pò patetico. Purtroppo, oggi, appena un'idea esce da una stanza è subito merce, merce di scambio, roba da supermercato. La gente se la trova lì, senza fatica, e se la spalma sul pane, come la Nutella. No, la cultura è delicata, e anche permalosa. Ci resta male se non si sente amata... o se le viene il sospetto di non essere un bisogno vero. La cultura è come una luce che quando si espande troppo perde la sua luminosità. Il frastuono della cattiva divulgazione la affievolisce. Soltanto il silenzio ne salva l'intensità.

Giorgio Gaber e Sandro Luporini
Da "L'ingenuo (I parte)"

 

I Don Chisciotte di oggi
non combattono contro,
ma per i mulini a vento.

Anonimo


Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

Jorge Luis Borges
"I giusti"